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Liberismo economico: definizione e caratteristiche

Se stai studiando il liberismo economico e hai bisogno di una guida che ti consenta di avvicinarti alla materia in maniera semplice, allora questa pagina fa proprio al caso tuo.

Nel corso dei prossimi paragrafi cercheremo di spiegarti con pochi concetti essenziali le caratteristiche della dottrina liberista, partendo da quelle che sono le origini e le successive evoluzioni storiche alle quali è legata.

Buona lettura!

Liberismo: definizione

Iniziamo a prendere confidenza con il concetto di liberismo economico attraverso la definizione riportata sul sito della Treccani:

“In senso ampio, sistema imperniato sulla libertà del mercato, in cui lo Stato si limita a garantire con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere soltanto ai bisogni della collettività che non possono essere soddisfatti per iniziativa dei singoli (in tal senso è detto anche liberalismo o individualismo economico); in senso specifico, libertà del commercio internazionale o libero scambio, contrapposto a protezionismo.”

Il concetto, sul piano economico, si trasforma nell’idea del ‘lassez-faire’ la quale sostiene che il mercato deve essere ‘lasciato stare’ in quanto capace, attraverso le azioni concordate liberamente tra gli uomini, di garantire il benessere degli attori che in esso operano.

In estrema sintesi l’intervento dello Stato deve essere ridotto al minimo; ad esempio alla costruzione di infrastrutture quali strade, ponti, autostrade e tutto ciò che si rende necesario per l’attività del mercato.

La teoria liberista nasce nel XVIII secolo a partire dall’elaborazione teorica di Adam Smith secondo il quale un ordine economico può realizzarsi soltanto attraverso il libero svolgimento di attività individuali.

Alla base della teoria si pone l’inalienabile diritto di libertà dell’uomo, che dalla sfera individuale si estende progressivamente anche agli altri campi, tra cui quello economico.

Tre sono i principi fondamentali della filosofia liberista:

  1. Libera iniziativa privata
  2. Equilibrio del mercato
  3. Esclusione dello Stato

Il punto 1 si basa sul presupposto che ogni indiviuo è libero di intraprendere iniziative di tipo economico.
Da un lato si pone la libertà dell’imprenditore di decidere autonomamente cosa, quanto e come produrre mentre dall’altro si pone la libertà dei consumatori di scegliere quali prodotti acquistare tra quelli presenti sul mercato.
Rientra nella libertà di iniziativa anche la proprietà dei mezzi di produzione.

Il punto 2 sostiene che l’equilibrio del mercato si determina in maniera spontanea dal momento che la domanda assorbe sempre l’offerta.

Il terzo punto si basa sull’esclusione dell’intervento dello Stato dalla vita economica del paese; la presenza statale rappresenta un limite concreto all’iniziativa privata, e di conseguenza anche un freno allo sviluppo economico.

Le origini

All’inizio del secolo scorso il sistema è stato adottato in quasi tutta l’Europa, per poi essere abbandonato, tra il 1860 e il 1870, dai paesi continentali che, affacciandosi sulla scena dell’economia mondiale con discreto ritardo, rischiavano di essere danneggiati dal principio.
A rendersi promotori di tale abbandono sono stati principalmente i protezionisti ovvero coloro i quali sostenevano che il libero scambio tra un paese ricco e uno povero avrebbe inevitabilmente condotto il secondo alla rovina.
Nello specifico i paesi meno sviluppati, non essendo in grado di reggere la concorrenza sia a livello di capitali che di competenze, sarebbero stati costretti a importare prodotti finiti e ad esportare materie prime non lavorate; il tutto chiaramente a discapito di uno sviluppo economico stabile.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale le spese belliche condussero ad un intervento pubblico, sempre più esteso, nell’economia del paese.
La situazione risultava ormai compromessa: la popolazione era stata fortemente provata dalla guerra per cui non era più possibile credere in un’autoregolamentazione del mercato.
Il commercio internazionale fu sottoposta a vincoli e controlli per cui tutti i tentativi di ripristinare il liberismo, alla fine del conflitto, naufragarono.

L’idea liberista si riaffaccia alla ribalta dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Si parla in tal caso di neo-liberismo, ovvero di un sistema impostato su una nuova matrice che sostiene l’intervento dello Stato soltanto nei casi di evidente ed estrema difficoltà del mercato.

Il neoliberismo si è imposto soprattutto nell’ambito dei rapporti commerciali internazionali, nello specifico, favorendo accordi multilaterali basati sul libero scambio e sull’eliminazione dei dazi doganali.

Liberismo e liberalismo

Concludiamo il post con una precisazione rivolta a chiarire la differenza che esiste tra liberismo e liberalismo.

Abbiamo già riportato nel corso del precedente paragrafo la definizione di liberismo presente sul sito Treccani per cui non ci resta che affrontare il significato di liberale riportato sul medesimo sito:

“Movimento di pensiero e di azione politica che riconosce all’individuo un valore autonomo e tende a limitare l’azione statale in base a una costante distinzione di pubblico e privato”

In altre parole, mentre il liberismo è una dottrina economica basata sul disimpegno dello Stato dall’ambito economico di un Paese il liberalismo è un’ideologia politica basata sui diritti fondamentali e inviolabili dell’individuo, ovvero sull’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

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