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Cyberbullismo, hate speech e violenza digitale: i numeri di un’emergenza senza consenso

La nuova infografica di Unicusano su cyberbullismo, hate speech e violenza digitale offre una fotografia aggiornata dell’emergenza online dal 2019 ad oggi e mette in luce dati, tendenze e strumenti formativi per contrastarla.

C’è un filo rosso che unisce le chat scolastiche, i social network e i forum online: la violenza digitale. Non più episodi isolati, ma un fenomeno che cresce di anno in anno, lasciando dietro di sé vittime giovanissime, donne esposte a nuove forme di violenza di genere, comunità intere segnate dall’odio. I numeri raccontano una realtà che non può più essere ignorata: nel 2019 il 18% degli studenti italiani dichiarava di essere stato vittima di cyberbullismo; nel 2021, complice la pandemia, si era già al 23%. Nel 2023 la quota è salita al 29% e nel 2024 le segnalazioni alle linee di aiuto come Telefono Azzurro e Terre des Hommes sono aumentate del 40%. Oggi, secondo l’Istat, quasi sette ragazzi su dieci tra gli 11 e i 19 anni hanno vissuto almeno un episodio di violenza online, e uno su cinque lo subisce in modo continuativo, più volte al mese.

Dietro queste percentuali ci sono storie di insulti, minacce, esclusioni dai gruppi digitali, che compongono il volto del cyberbullismo, responsabile del 60% dei casi. Accanto a questo si colloca l’hate speech, che colpisce soprattutto per genere, etnia o orientamento sessuale e riguarda oltre un terzo dei giovani italiani. Ancora più inquietanti sono i fenomeni che sfruttano l’intimità delle persone: il revenge porn, la diffusione non consensuale di immagini private, ha superato le 2.000 denunce nel 2024, con un aumento del 30% in un solo anno, mentre i deepfake, video e foto manipolati dall’intelligenza artificiale, crescono del 25% e colpiscono soprattutto le donne. In Europa, una donna su cinque ha subito revenge porn o deepfake, segno che la violenza digitale è ormai un fenomeno globale.

Chi paga il prezzo più alto sono gli adolescenti, in particolare gli 11–13enni, con il 23,7% che dichiara di essere vittima con continuità, seguiti dai 14–19enni (19,8%). Le ragazze hanno il doppio delle probabilità rispetto ai coetanei maschi di subire sextortion o revenge porn, mentre nella comunità LGBTQ+ un giovane su due racconta di essere stato bersaglio di hate speech. Ma la rete non risparmia nemmeno gli adulti: il 14% delle donne tra i 15 e i 70 anni ha ricevuto offese o proposte offensive online e quasi il 4% denuncia molestie legate al lavoro o allo studio, contro l’1% degli uomini. Solo nel primo semestre 2024 sono stati segnalati circa 700 casi di revenge porn riguardanti adulti, a dimostrazione che il fenomeno non conosce limiti anagrafici.

Le conseguenze si misurano nella vita reale: quasi la metà delle vittime sviluppa ansia o depressione, un ragazzo su quattro valuta l’abbandono scolastico e oltre il 12% manifesta comportamenti autolesionistici. Dati che spazzano via l’idea che si tratti di “semplici scherzi” o di conflitti circoscritti alla sfera online.

L’estate 2025 ha reso evidente come la violenza digitale possa assumere forme organizzate e collettive. Il gruppo Facebook “Mia Moglie”, smantellato da Meta ad agosto, contava oltre 30.000 iscritti che condividevano foto intime di donne senza consenso, corredandole con commenti sessisti e degradanti. Un fenomeno inquietante non solo per la violenza dei contenuti, ma per la sua dimensione comunitaria: migliaia di uomini riuniti in un unico spazio virtuale per perpetrare e normalizzare la violenza di genere.

Lo Stato e l’Europa hanno iniziato a muovere contromisure. In Italia il Decreto Legislativo 99/2025 ha introdotto l’obbligo di identità digitale per accedere ai social network, sanzioni fino a 10.000 euro e nuovi poteri di oscuramento per l’AGCOM. Il numero 114 di Telefono Azzurro, potenziato, ha gestito oltre 40.000 richieste di aiuto in un anno. A livello europeo, le campagne contro l’hate speech hanno già raggiunto due milioni di studenti, portando la prevenzione dentro le scuole.

Eppure, repressione e assistenza non bastano. La vera sfida è culturale e formativa. La violenza digitale nasce in un contesto sociale che spesso minimizza gli abusi, normalizza il linguaggio d’odio e fatica a distinguere tra scherzo e aggressione. Per questo serve una nuova generazione di professionisti capaci di leggere i fenomeni, supportare le vittime e intervenire con competenze specifiche. L’Università Niccolò Cusano ha scelto di investire proprio su questa frontiera, con corsi di laurea in Psicologia e Scienze dell’Educazione per formare figure capaci di agire in contesti scolastici e sociali, con programmi di Sociologia per analizzare i risvolti normativi e sociali, e con master in Criminologia clinica, Criminologia Criminologia e diritto penale e Criminologia e sicurezza nel mondo contemporaneo per approfondire i nuovi modelli di devianza. Sul versante tecnologico e giuridico, l’ateneo propone master in Bullismo e Cybersecurity, Cybercrime management, Specialist in cybersecurity e legal compliance e Specialista in cybersecurity, digital forensics e data protection con un focus sulle nuove tecnologie e sull’intelligenza artificiale.

La violenza digitale non è virtuale: è reale, concreta, e colpisce la vita delle persone. I dati raccontano una crescita che non accenna a fermarsi, ma la conoscenza, la formazione e la responsabilità collettiva sono strumenti fondamentali per invertire la rotta e restituire al web la sua funzione originaria di spazio di incontro, crescita e libertà.


Infografica a cura dell’Ufficio Marketing dell’Università Niccolò Cusano

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