Università | 06 Giugno 2025
Diritto penale minorile: che cos’è e a cosa serve

Diritto penale minorile: che cos’è e a cosa serve

Il diritto penale minorile rappresenta una branca specialistica dell’ordinamento giuridico che riconosce ai soggetti di età inferiore ai 18 anni uno status particolare, caratterizzato da specifiche garanzie processuali e sostanziali. Questa disciplina si fonda sul principio fondamentale secondo cui il minore, per le sue caratteristiche evolutive e la sua personalità in formazione, necessita di un approccio differenziato rispetto al sistema penale degli adulti.

L’ordinamento italiano si distingue per una filosofia giuridica fortemente orientata verso la finalità educativa e rieducativa piuttosto che meramente punitiva. Il sistema prevede infatti strumenti processuali innovativi che privilegiano percorsi di recupero e reinserimento sociale, minimizzando al contempo l’impatto traumatico del procedimento penale sulla crescita psicologica del minore. Tale approccio si concretizza attraverso istituti come la messa alla prova, la mediazione penale e le misure cautelari alternative alla detenzione.

L’articolo mira a fornire una panoramica generale della materia, partendo dall’apparato normativo di riferimento per arrivare ai percorsi di specializzazione post-laurea.

Cos’è il diritto penale minorile?

Il diritto penale minorile è la disciplina giuridica che regola i procedimenti penali nei confronti di soggetti che, al momento del fatto, non avevano ancora compiuto i 18 anni di età. Si tratta di un sistema specializzato che si differenzia sostanzialmente dal diritto penale comune per le sue finalità prevalentemente educative e riabilitative.

Questa branca del diritto si basa su alcuni principi cardine che ne caratterizzano l’applicazione. Il principio di specialità riconosce al minore uno status particolare in virtù della sua personalità in fase di sviluppo, mentre il principio educativo orienta ogni intervento verso la crescita e il recupero del giovane piuttosto che verso la mera punizione. Il principio di minima offensività impone invece di ridurre al minimo l’impatto negativo del procedimento penale sulla vita del minore.

L’obiettivo primario del diritto penale minorile non è la repressione del reato, ma la prevenzione della recidiva attraverso il recupero sociale del minore. Il sistema mira a responsabilizzare il giovane rispetto alle conseguenze delle proprie azioni, offrendogli al contempo gli strumenti per un reinserimento positivo nella società. In questa prospettiva, ogni intervento deve essere calibrato sulle specifiche esigenze educative e di crescita del singolo minore, tenendo conto del suo contesto familiare e sociale.

Normativa del diritto penale minorile

La giustizia minorile è disciplinata dal DPR 488 del 22 settembre 1988.

Nei confronti degli autori dei reati non ancora maggiorenni l’ordinamento italiano mira, in linea generale, ad un esercizio della giurisdizione penale che persegua finalità essenzialmente educative, fermo restando il valore ‘punitivo’ dell’intervento.

La pena deve pertanto essere stabilita sulla base della considerazione di una pluralità di variabili, sociali, ambientali, psicologiche ed educative, le quali, direttamente o indirettamente, possono aver contribuito all’esecuzione del reato.

In tal senso, l’obiettivo principale del processo è coniugare giustizia e tutela/recupero del minorenne.

Il codice del processo penale minorile definisce nell’articolo 1 i principi generali e prosegue negli articoli successivi con: gli organi giudiziari e le relative competenze; l’informativa al procuratore della Repubblica per i minorenni; le sezioni di polizia giudiziaria per i minorenni; i servizi minorili; le notifiche all’esercente la potestà dei genitori; l’accertamento sull’età del minorenne; gli accertamenti sulla personalità del minorenne; l’inammissibilità dell’azione civile; il divieto di pubblicazione e di divulgazione; il casellario giudiziale per i minorenni; l’eliminazione delle iscrizioni; l’arresto in flagranza; le misure cautelari; la permanenza in casa; il collocamento in comunità; la custodia cautelare; i procedimenti speciali; la sospensione del processo e la messa alla prova; le sanzioni sostitutive; lo svolgimento dell’udienza preliminare; l’udienza dibattimentale; il giudizio di appello; l’esecuzione delle misure di sicurezza; l’impugnazione dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza per i minorenni.

Principi fondamentali del DPR 488/88

Per comprendere a fondo il funzionamento della giustizia minorile in Italia è fondamentale conoscere i principi cardine sui quali essa si fonda.

Di seguito i punti principali, per ognuno dei quali abbiamo realizzato una breve e concisa sintesi delle caratteristiche più importanti.

Principio di adeguatezza

Secondo l’articolo 1 del DPR 448/88 il processo deve tendere verso finalità di carattere educative, volte a responsabilizzare il minore.
Le misure adottate devono quindi adeguarsi alla personalità del soggetto coinvolto nel processo; devono pertanto risultare in linea con le sue esigenze educative ed essere rivolte prevalentemente alla reintegrazione nella società.
L’obiettivo finale è restituire al minore la normalità della vita sociale, evitando gli interventi che potrebbero in qualche modo destrutturarne la personalità.

Principio di minima offensività

L’istituto processuale nei  confronti del minore deve tendere il più possibile verso una limitazione dei contatti con il sistema penale.
L’esercizio della giurisdizione penale deve pertanto garantire il corretto sviluppo psicofisico del ragazzo, evitando di comprometterne l’immagine sociale e lo sviluppo equilibrato della personalità.

L’obiettivo dei giudici è tenere lontano il pericolo di marginalità attraverso provvedimenti che includano, nei limiti del possibile, strumenti alternativi rivolti a non interrompere i processi educativi in atto.

Il principio tende, in estrema sintesi, a far uscire rapidamente il minore dal circuito penale.

Principio di de-stigmatizzazione

L’ordinamento italiano, sulla base del principio di de-stigmatizzazione, tende ad evitare il pregiudizio che potrebbe scaturire da contatto del minore con il circuito penale.

Le modalità attraverso le quali viene tutelata e garantita la riservatezza dell’anonimato prevedono:

  • il divieto di diffondere immagini e informazioni in merito alle generalità del minore;
  • lo svolgimento del processo a porte chiuse (senza la presenza di pubblico) in deroga al quale può intervenire un’esplicita richiesta del minore che abbia compiuto i 16 anni;
  • la possibilità di cancellare, al compimento dei 18 anni, i procedimenti giudiziari dal casellario giudiziale.

Principio di residualità della detenzione

Al fine di rendere la carcerazione una misura applicabile in estrema ratio, l’ordinamento prevede soluzioni alternative rivolte a responsabilizzare il minore.

L’obiettivo del principio di residualità della detenzione è limitare la carcerazione, cautelare ed esecutiva della pena, ai casi in cui si rende necessaria una difesa sociale non tutelabile in altro modo.

Tra le misure cautelari identificate come intermedie tra la permanenza in casa e il carcere figura la comunità, nell’ambito della quale sono previste iniziative volte al reinserimento sociale.

Principio di auto selettività del processo penale

L’ultimo principio che analizzeremo in questo articolo è quello di auto selettività, secondo il quale il processo penale minorile prevede meccanismi deflattivi maggiori rispetto a quelli applicabili ai processi penali ordinari.

Ne costituisce un’espressione piuttosto esplicativa il primato delle esperienze educative sulla prosecuzione dello stesso processo; informazioni relative alla personalità, al contesto familiare, all’ambiente in cui vive l’imputato minorenne e al reato possono condurre alla cosiddetta ‘irrilevanza del fatto’ e alla sospensione del processo per messa alla prova.

Criminalità minorile: misure alternative alla detenzione e rieducazione

Il sistema di giustizia penale minorile italiano privilegia un approccio riabilitativo che considera la detenzione come extrema ratio, da utilizzare solo nei casi di assoluta necessità.

La messa alla prova rappresenta l’istituto più significativo del diritto penale minorile. Disciplinata dall’art. 28 del D.P.R. 448/1988, questa misura consente di sospendere il processo penale per permettere al minore di seguire un progetto educativo individualizzato. Durante il periodo di prova, che può durare fino a tre anni, il giovane viene affidato ai servizi sociali che, in collaborazione con la famiglia, elaborano un percorso mirato al superamento delle cause che hanno determinato il comportamento deviante.

Il successo della messa alla prova comporta l’estinzione del reato, mentre il fallimento riporta il caso davanti al giudice per la prosecuzione del processo.

Il sistema prevede ulteriori strumenti che evitano il ricorso alla detenzione. L’affidamento ai servizi sociali permette al minore di rimanere nel proprio ambiente familiare sotto la supervisione di operatori specializzati. Il collocamento in comunità offre invece un ambiente protetto e strutturato per quei casi in cui il nucleo familiare non rappresenta un contesto adeguato al percorso rieducativo.
La permanenza in casa con o senza controllo elettronico consente di mantenere i legami affettivi e sociali del minore, limitando al minimo l’impatto negativo della misura cautelare. Queste soluzioni si caratterizzano per la loro flessibilità e per la possibilità di essere modulate in base all’evoluzione del caso specifico.

La rieducazione non si limita alla mera correzione del comportamento deviante, ma mira a ricostruire l’identità sociale del minore attraverso percorsi formativi, scolastici e professionali. Gli interventi coinvolgono non solo il giovane, ma l’intero sistema relazionale che lo circonda: famiglia, scuola, gruppo dei pari e comunità di riferimento.

L’efficacia di questo approccio è dimostrata dai dati sulla recidiva minorile, significativamente inferiore rispetto a quella degli adulti. Il successo del modello italiano risiede nella capacità di coniugare la tutela sociale con il rispetto dei diritti del minore, riconoscendo nella responsabilizzazione attiva lo strumento più efficace per prevenire la commissione di nuovi reati.

Come lavorare nell’ambito della giustizia minorile

Per chi desidera inserirsi nell’ambito lavorativo afferente alla giustizia dei minori, l’Università Telematica Niccolò Cusano ha attivato il master in Mediazione penale minorile.

Si tratta di un corso post-laurea di secondo livello che mira a formare profili altamente qualificati, in possesso di competenze professionali che consentano approcci integrati allo studio dei problemi relativi alla delicata attività mediativa.

Considerando che negli ultimi anni la mediazione si è affermata in maniera preponderante nel settore della giustizia minorile, è palese l’importanza di una specializzazione aggiornata e approfondita per tutti i profili che intendono operare nei contesti che mirano al recupero sociale e alla rieducazione dell’autore del reato.

Il DPR 448/88, di cui abbiamo parlato nel corso dei precedenti paragrafi, prevede la realizzazione dell’attività di mediazione attraverso l’integrazione delle competenze giuridiche, psicologiche, pedagogiche e metodologiche dei vari professionisti che, direttamente o indirettamente, intervengono nel contesto giudiziario minorile.

Il percorso formativo è strutturato sulla base di quanto sancito dai nuovi Principi di Legge e sull’analisi dei contesti nei quali si palesa l’esigenza di un cambiamento in termini di strumenti giudiziari di intervento.

Nel dettaglio il piano di studi del master prevede l’approfondimento delle seguenti materie:

  • Definizione e ambiti di intervento della mediazione penale minorile
  • Elementi di Diritto penale minorile
  • Elementi di Diritto processuale penale minorile: i principi del processo penale minorile, l’esigenza educativa e riabilitativa
  • Il Sistema della Giustizia Minorile
  • Cenni di psicologia generale
  • Elementi di psicologia dell’età evolutiva – Marginalità sociale e devianza minorili
  • Aspetti comunicativi, gestione delle emozioni
  • Ruolo e formazione del mediatore penale minorile
  • Modelli e fasi della mediazione penale
  • Modelli e tecniche  di mediazione penale: esperienze internazionali  a confronto
  • Aspetti deontologici della Mediazione
  • Interventi di mediazione penale: progettazione degli interventi; progettazione degli interventi di rieducazione
  • Pedagogia familiare per gli interventi a sostegno delle famiglie
  • Politiche di rete per il reinserimento sociale e familiare
  • Tribunale per la famiglia

Costo

Il master ha un costo annuo di 2.100,00 euro, da corrispondere in 4 rate.

E’ prevista una quota ridotta, pari a 1.800,00 euro, per i dipendenti in attività di servizio appartenenti alle Forze dell’Ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziari, Esercito), per gli avvocati iscritti all’ordine, per i dottori commercialisti iscritti all’ordine e per tutti quelli che hanno conseguito una laurea in Economia o in Giurisprudenza presso l’Unicusano.

Modalità formativa

Considerando l’esigenza di conciliare lavoro e studio il master è attivato in modalità e-learning, approccio formativo basato sull’assoluta flessibilità dell’apprendimento.

Il materiale didattico, nel quale rientrano video-lezioni in streaming, e-book, slide di approfondimento e test di auto verifica, è fruibile attraverso una piattaforma telematica pratica e intuitiva, accessibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Ciò significa che ognuno può scegliere autonomamente, senza vincoli né limitazioni, quando e dove studiare, sulla base delle personali esigenze e o preferenze.

Per ulteriori informazioni sul master o per eventuali chiarimenti, non esitare a contattarci attraverso il modulo online che trovi cliccando qui!

Credits: alexraths/DepositPhotos.com

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