Università | 15 Gennaio 2014
Diritto allo studio gratuito per ogni bambino: una lotta di civiltà

Diritto allo studio gratuito per ogni bambino: una lotta di civiltà

L’Articolo numero 26 della dichiarazione dei diritti umani stabilisce che ogni individuo ha diritto all’istruzione. Istruzione che deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. Stabilisce, inoltre, che l’istruzione elementare deve essere obbligatoria e  che l’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti, mentre l’istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito.

Articolo tra i più importanti, questo. Perché non solo si occupa di migliorare il presente, ma perché ha il lungimirante obiettivo di garantire maggiore dignità ad ogni popolazione in un futuro che per questo pianeta pare sempre più incerto. Il diritto allo studio, su questo tutti saranno senz’altro d’accordo,  è infatti  il principale mezzo di diffusione della cultura nei paesi civili. È anche il principale mezzo per la realizzazione personale di ogni singolo individuo.

Studiare, dunque, non vuol dire esclusivamente accrescere le proprie competenze, ma in particolar modo significa organizzare queste informazioni al fine di regalare maggiore spessore e maggiore carattere alla propria personalità. Vuol dire, quindi,  creare contatti con realtà diverse,  confrontare, approfondire e migliorare la propria esperienza, imparare a dialogare, raffrontare, discutere,  con opinioni, situazioni e culture differenti.

Va da sé, dunque, che la cultura, lo studio, siano la basi su cui fondare una società partecipata da individui responsabili, maturi e consapevoli dei propri diritti, dei propri doveri e delle proprie responsabilità.

In teoria, dunque, ci siamo. Il diritto allo studio viene considerato un presupposto essenziale da ogni tipo di istituzione. La realtà che il nostro Pianeta ci permette di osservare, però, evidenzia come in molte zone del mondo il diritto allo studio sia violato in molti paesi. I numeri, in questo senso, parlano chiaro: circa il 40% della popolazione mondiale è analfabeta. Con dei picchi, come in  Afghanistan, Burkina Faso, Mali, Nepal, Nigeria, Pakistan e Yemen in cui circa il 70% dei ragazzi non ha completato alcun livello di istruzione; in Bangladesh, Guinea, Marocco e Senegal il numero di chi raggiunge almeno la licenza elementare, per parlare un linguaggio a noi familiare, non supera il 50%. In Pakistan, in particolare, il tasso di analfabetismo raggiunge il 63% della popolazione, con la metà dei ragazzi che abbandonano la scuola primaria senza averla completata.

Questi fenomeni nascono principalmente dalla povertà. La maggior parte delle famiglie non può permettersi di acquistare libri di testo, materiale didattico, o pagare la tassa d’iscrizione scolastica. Per questo tutti dovremmo interrogarci sull’effettivo bisogno di applicare un proposito che finora è rimasto solo sulla carta: rendere l’istruzione, almeno quella primaria, obbligatoria e gratuita. Per tutti. 

Senza parlare esclusivamente di lontane dall’Italia, occorre ricordare, però, che anche nel nostro Paese  il fenomeno della violazione del diritto allo studio necessita di interventi da parte delle autorità preposte. Se è vero che la popolazione italiana, come quelle dei paesi sviluppati, raggiunge un’alta percentuale di persone alfabetizzate, non bisogna però dimenticare che nel paese la presenza sempre più numerosa di etnie e culture diverse pone problemi da non sottovalutare.

E che anche da noi la povertà spinge sempre più spesso famiglie italiane a costringere i propri figli all’abbandono scolastico, con l’obiettivo di inserirli il più presto possibile nel mondo del lavoro, un mondo del lavoro che, in queste condizioni, molte volte fa rima con criminalità organizzata.

Più in generale, si stima che in tutto il mondo siano  72 i milioni di minori che non hanno accesso alla istruzione di base. Di essi 37 milioni vivono in paesi in conflitto o reduci da guerre. A queste nazioni, benché in essi sia concentrato il più alto numero di bambini esclusi dall’istruzione, viene riservata la quota minore degli aiuti internazionali.

Negli ultimi anni gli Stati donatori hanno preso impegni in aiuti all’educazione per quasi 5 miliardi di dollari, per poi erogarne solo 2.700. Una cifra sensibilmente inferiore allo stanziamento annuo stimato, pari a  9 miliardi di dollari. Le nazioni ricche non fanno abbastanza, questo il monito contenuto nel rapporto di Save the Children, dal titolo eloquente più di mille parole: “Scuola, ultima nella lista“.

Paradossale il caso del Lussemburgo che destina la cifra più esosa – dodicimila dollari – per un anno di scuola di un bambino Lussemburghese e dà 0,01 dollari per un anno di scuola di un  bambino in un paese in guerra, che rischia di finire, quindi, ancora adolescente, con un mitra tra le mani.

Il nostro Paese è al terzultimo posto nella lista dei donatori ed è uno dei paesi che contribuisce meno. All’interno dei fondi italiani per l’educazione primaria, il 34 per cento è stata allocata per i paesi in guerra, il 30 per cento ai paesi a medio reddito e il 12 per cento a quelli a basso reddito. Si può e si deve fare di più.

I grandi del Pianeta devono capire che l’Istruzione, se davvero si vuole costruire un mondo migliore, è l’investimento più importante. Riuscire a far sì che tutti i bambini vadano a scuola, non significherebbe infatti farli “soltanto” evadere dalla prigione dell’analfabetismo. Ma l’accesso all’istruzione di base innesterebbe in loro un circolo virtuoso che produrrebbe i suoi effetti benefici di generazione in generazione.

È provato che l’istruzione aumenta le possibilità di inserimento nel mondo del lavoro e con essa la possibilità di avere un reddito migliore rispetto a quello medio delle persone non scolarizzate. E’ giusto che si continui a lottare per garantire ad ogni bambino del mondo la possibilità di studiare. Per formare persone. Non per costruire schiavi.

 

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